di Eugenio Saltarel
Cosa possono sognare i giovani di oggi? Rispetto al passato i tempi sembrano evolversi in maniera sempre più confusa; la sensazione è che oggi siano pochi i sogni comuni a tanti giovani, dal momento che vengono loro offerte molte aspirazioni, molti inviti, molti suggerimenti e ognuno sembra prospettare un reale futuro di integrazione sociale che poi difficilmente riesce a realizzarsi… anzi spesso notiamo che addirittura manca la fiducia e si crede poco alle indicazioni dei più anziani.
Francamente non so se nella mente dei nostri predecessori le idee che li hanno portati a realizzare passi sui quali oggi ci muoviamo con naturalezza, fossero dettate effettivamente da obiettivi di cui erano chiaramente consapevoli o fossero il frutto del caso.
Prendiamo Louis Braille, l’inventore dell’omonima codifica, partito dalla necessità di poter disporre di testi che gli consentissero di studiare con chiarezza gli spartiti musicali, finito per mettere a punto un metodo grazie al quale chi non vede ha avuto la possibilità di entrare a pieno titolo nel mondo della cultura e della scrittura personale. Sappiamo che ha dovuto sopportare molte difficoltà prima che questo suo metodo fosse accettato, tanto da raggiungere tutto il mondo e da riuscire a riportare per iscritto tutte le lingue del pianeta. Eppure consentire a chi non vede l’accesso alla cultura non poteva essere un obiettivo da mettere in discussione. Louis Braille è morto in assoluta povertà, avendo anche dovuto subire la distruzione dei primi testi prodotti con il suo codice.
Per restare nel campo delle persone cieche, abbiamo ancora Aurelio Nicolodi, molto meno noto soprattutto all’estero e fra quanti si occupano di disabilità, il fondatore e primo Presidente dell’Unione Italiana Ciechi nel periodo a ridosso della prima guerra mondiale.
Nicolodi ha fatto suo il compito di impersonare una associazione e ha così potuto sognare modi nuovi di integrazione sociale, partendo dall’unire persone con intenti comuni: i momenti storici successivi alla prima guerra mondiale non erano facili da vivere per nessuno , figuriamoci per chi non vedeva. Unire i ciechi verso comuni obiettivi, lavorare per renderli elementi attivi nel contesto sociale, immaginare e realizzare soluzioni che consentissero loro di non essere più un peso per chi li attorniava.
Fu così che nacquero le prime fabbriche dove chi aveva problemi di vista poteva lavorare con gli stessi livelli di produttività di chi questi problemi non li aveva. In questi ambienti lavorativi disabili e non lavoravano fianco a fianco, condividendo sogni e delusioni. La fabbrica di calzature per l’esercito, il corpo degli aereofonisti che grazie ad un udito affinato erano in grado di sentire il sopraggiungere degli aerei nemici, avvisando in tempo utile la popolazione, che aveva così il tempo di mettersi in salvo.
Potrei riportare altri esempi di iniziative e di persone che hanno contribuito al progresso e all’integrazione (non solo di chi ha problemi di vista), ma preferisco fermarmi a quelli che ho citato per mettere in luce come quando si sa interpretare il momento presente, le necessità di chi lo sta vivendo e i sogni che le persone esprimono, si può veramente partecipare alla costruzione di una società diversa, più umana, rispettosa della dignità di tutti, dove sia possibile progredire verso l’abolizione di quelle differenze e di quegli strumenti che consentono ad alcuni di emarginare dalla vita di tutti uomini e donne considerati diversi.
E allora viene da chiedersi appunto: e oggi cosa sogniamo? Possiamo ancora lavorare per costruire un futuro che continui il percorso iniziato da chi ci ha preceduto?