Il volontariato fa bene a chi lo fa. La prima volta che ho sentito questa frase – avrò avuto 15 o 16 anni – ci rimasi male: ma come? Io facevo volontariato per fare del bene agli altri, mettevo a disposizione il mio tempo per coloro che erano in difficoltà, ed ora mi si veniva a dire che a beneficiarne ero io!
Ebbene sì, il volontariato è innanzitutto un dono che il volontario fa a se stesso. Certo i destinatari dell’attività di volontariato – siano essi persone con disabilità, individui coinvolti in un incidente o indigenti senza fissa dimora – traggono un vantaggio dall’attività di volontariato, però è molto di più ciò che guadagna il volontario.
La figura del volontario attira due classi opposte di pensieri. Da un lato è una persona idealizzata, alla quale attribuire delle qualità lodevoli, dall’altro lato, però, è anche un individuo il cui comportamento genera sospetti, in particolare riguardo alla genuinità delle sue motivazioni: «Come mai lavora gratis? Qualcosa ci guadagna di sicuro», «fa volontariato solo per farsi dire quant’è bravo!”.
Bisogna dire però che, nonostante esista ancora l’idea che dietro al volontariato si celino motivazioni di serie A e di serie B – bisogni più egoistici e da guardare con sospetto e riprovazione – è anche vero che ultimamente si sta affermando una concezione del volontariato più articolata e complessa, in cui il volontariato viene visto come un impegno capace di integrare l’interesse verso gli altri e il soddisfacimento dei propri bisogni. Quest’ottica, non solo non toglie nulla alla grandezza dell’impegno del volontario, ma anzi lo connota di aspetti umani.
Esistono diverse teorie su ciò che motiva le persone a fare volontariato. Uno dei modelli più noti è il modello funzionalista di Omoto e Snyder che prevede sei classi di motivazioni:
- Valori personali (solidarietà, altruismo ed equità), che rivelano L’interesse umanitario e la volontà di aiutare gli altri;
- Comprensione, ossia la messa in atto di capacità o qualità personali che altrimenti rimarrebbero inespresse: in questo caso il volontariato è l’occasione per mettersi alla prova o per sviluppare delle potenzialità;
- Valori sociali, cioè L’interesse per le relazioni interpersonali: essere parte di un’associazione permette di condividere ideali, trovare affinità, costruire nuovi rapporti, anche di amicizia; allevia la solitudine, dà occasione di relazioni positive, calorose, empatiche;
- Carriera: la spinta al volontariato è in questo caso rappresentata dalla possibilità di acquisire competenze spendibili nel mondo del lavoro: soprattutto i giovani capita che considerino il volontariato come un’opportunità per maturare esperienze da inserire nel curriculum, che quindi possono essere d’aiuto nella ricerca del lavoro;
- Proteggersi da sentimenti sgradevoli: attraverso il volontariato ci si può difendere dal senso di colpa per essere più fortunati di altri o perché in passato non si è stati vicini ad un familiare o ad un amico in difficoltà;
- Autostima: la motivazione alla base della decisione di svolgere attività di volontariato può essere legata al bisogno di accrescere la propria autostima attraverso il riconoscimento che si riceve: essere rispettati, lodati, sentirsi dire “grazie”, fa sentire utili e importanti;
Come si può notare, solo la prima di queste motivazioni ha a che fare con il benessere altrui, tutte le altre hanno alla base la necessità di soddisfare uno o più bisogni privati.
Sono certa che poche persone sono consapevoli di essere mosse da motivazioni diverse da quella di fare del bene agli altri e – come me quando ero ragazzina – si risentono se viene fatto notare loro che il desiderio di fare volontariato scaturisce dalla necessità di soddisfare un proprio bisogno. Non c’è nulla di male in questo, non rende le proprie azioni meno lodevoli, importanti o significative. Audrey Hepburn diceva “Nel diventare più maturo scoprirai che hai due mani. Una per aiutare te stesso, l’altra per aiutare gli altri”.
Ascoltandosi sinceramente, ogni volontario può in qualche misura trovare in sé una o più di queste motivazioni. Ciascuno può essere spinto all’azione da una diversa mescolanza o combinazione di questi elementi, ciò che conta è riconoscerlo, esserne consapevoli ed eventualmente lavorarci per un maggiore equilibrio.
Accettare la nostra complessità di esseri umani ci rende più capaci di comprendere gli altri e di aiutarli.
Desidero concludere riportando una poesia di Alessandro Manzoni che mi piace molto e che mette in versi questa riflessione su quanto il volontariato migliora la vita di chi lo fa.
Regala ciò che non hai
Occupati dei guai, dei problemi
del tuo prossimo.
Prenditi a cuore gli affanni,
le esigenze di chi ti sta vicino.
Regala agli altri la luce che non hai,
la forza che non possiedi,
la speranza che senti vacillare in te,
la fiducia di cui sei privo.
Illuminali dal tuo buio.
Arricchiscili con la tua povertà.
Regala un sorriso
quando tu hai voglia di piangere.
Produci serenità
dalla tempesta che hai dentro.
“Ecco, quello che non ho te lo dono”.
Questo è il tuo paradosso.
Ti accorgerai che la gioia
a poco a poco entrerà in te,
invaderà il tuo essere,
diventerà veramente tua nella misura
in cui l’avrai regalata agli altri.
Articolo già pubblicato in Reciprocamente Insieme n. 4 ottobre-dicembre 2021, trimestrale edito dall’Unione Nazionale Italiana Volontari pro Ciechi.
Molto bello e profondo
Grazie