Una fotografia della violenza di genere in Italia

di Daniela Fiordalisi

Immagine di due scarpe rosse sulla sinistra e sulla destra il testo "Speciale: 25 novembre Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne"

89, 109, 15: sono solo alcuni dei numeri che descrivono la realtà della violenza di genere in Italia.

89 sono le donne che ogni giorno in Italia subiscono atti persecutori ed abusi di ogni genere (psicologici, fisici, sessuali).

109 sono ad oggi le donne ammazzate solo nel 2021.

15% è la percentuale di donne che denuncia gli abusi prima di essere uccise.

Il 34% delle aggressioni è commessa da mariti o compagni, il 28% invece da ex.

Sono numeri spaventosi, che vorremmo credere esagerati, mentre probabilmente sono sottostimati: per una donna vittima di violenza è ancora difficile trovare il coraggio di denunciare e di cercare aiuto.

Dalla relazione della Commissione d’inchiesta sul femminicidio risulta che il 63% delle donne uccise non aveva parlato con nessuno della violenza. A volte, si legge nel report, il racconto a una persona fidata, una mamma, una zia diventa la prima e troppo spesso l’unica esternazione della violenza subita: nella maggior parte dei casi, lo sfogo non si traduce in denuncia.

Ancor oggi è forte il timore di non essere credute o di essere ritenute in parte responsabili a causa di come si era vestite o truccate. E’ solo di qualche giorno fa la notizia dell’insegnante (donna) di educazione fisica che ha chiesto alle studentesse di non indossare top troppo corti per non provocare i compagni maschi!

Nonostante tutto ciò, è da rilevare – ed è l’unico dato positivo – che  ci sono sempre più donne che provano a fermare la violenza: quest’anno sono le siciliane in prima linea nelle denunce: 172 ogni centomila abitanti donne.

Ma cosa non funziona?

Se la situazione è quella raccontata da questi dati – e purtroppo lo è – allora significa che qualcosa non funziona.

Sono diversi i punti critici all’origine di questo fenomeno sociale.

Primo fra tutti è il fattore culturale: nonostante viviamo nel terzo millennio, il modello della nostra società è fortemente patriarcale e sussiste ancora una forte sperequazione di potere tra uomo e donna. Secondo Fabio Roia, presidente vicario del tribunale di Milano, e componente dell’Osservatorio sulla violenza contro le donne, bisogna puntare sulla prevenzione a partire dalla scuola: “Dobbiamo introdurre una vera materia. La chiamerei “rispetto della diversità di genere” per usare una formula che non spaventi le famiglie magari preoccupate dai possibili contenuti. Una materia che insegni a rispettare i coetanei di genere diverso, mettendoci dentro nozioni di psicologia, storia, il diritto pubblico delle altre nazioni, ma innanzitutto l’educazione. Ed è necessario che nelle scuole intervenga personale formato a dovere, un altro vulnus dell’intero sistema di prevenzione della violenza contro le donne “.

L’altro aspetto fortemente critico è inerente alla formazione di tutti coloro che, a vario titolo, si occupano di violenza di genere: “Serve la specializzazione dei tribunali, la formazione delle forze dell’ordine, dei giudici, degli avvocati, dei medici e degli insegnanti “ad affermarlo è la Senatrice Valeria Valente, presidente della Commissione di inchiesta sul femminicidio. Riguardo nello specifico alla preparazione dei magistrati, Fabio Roia sostiene “è necessario che chi si occupa di questa materia sia formato su scienze complementari, dalla psicologia all’esperienza quotidiana degli operatori dei centri antiviolenza, devono essere in grado di comprendere il ruolo della donna nel ciclo della violenza. Le leggi che abbiamo sono buone, ma non vengono applicate con competenza. Occorre fare un investimento di risorse sulla formazione. La magistratura ha una scopertura di organico del 13 per cento che non ci consente di specializzare i gip, i giudici che danno le misure cautelari “.

   E’ a proprio a causa di questa mancanza di specializzazione che troppo spesso non vengono utilizzati gli strumenti previsti dalla legge a difesa delle donne che denunciano una violenza, dall’allontanamento dell’uomo violento al braccialetto elettronico.

Nel sistema di tutela delle donne vittime di maltrattamenti manca la valutazione del rischio: essa dev’essere fatta con i centri antiviolenza, che usano un metodo consolidato per scegliere il livello di protezione di ogni donna.

Il contrasto alla violenza di genere si gioca sul piano della prevenzione e, su questo fronte, uno strumento che ha dato risultati importanti è l’ammonimento da parte dei questori: si tratta di una misura di prevenzione che nasce con lo scopo di garantire alla vittima una tutela rapida e anticipata rispetto al procedimento penale, al quale le donne possono accedere facilmente.

Dall’ultimo report della “Dac”, elaborato dal servizio centrale anticrimine emerge che dopo l’irrogazione dell’ammonimento, il numero dei soggetti segnalato all’autorità giudiziaria è inferiore al 10 per cento.

Gli ammoniti sono soprattutto coniugi, fidanzati, conviventi o ex nel 69 per cento dei casi.

Dall’ultimo report della “Dac”, elaborato dal servizio centrale anticrimine, emerge che Dopo l’irrogazione dell’ammonimento, il numero dei soggetti segnalato all’autorità giudiziaria è inferiore al 10 per cento.

A Milano – afferma il prefetto Francesco Messina (direttore centrale anticrimine) – è stato sperimentato con successo il protocollo Zeus: quando l’uomo viene ammonito dal questore, è invitato a fare un percorso trattamentale e, concluso tale percorso, nel 90% dei casi non molestano più le donne .

Questo dato indica una possibile strada da seguire per arginare il fenomeno della violenza.

La violenza sulle donne è anche un problema di sanità pubblica.

La violenza contro le donne non è solo una grave violazione dei diritti umani, ma rappresenta anche un importante problema di sanità pubblica.

La violenza di genere, infatti, ha effetti negativi a breve e a lungo termine sulla salute fisica, mentale, sessuale e riproduttiva della vittima. Le conseguenze possono determinare per le donne isolamento, depressione, incapacità di lavorare, limitata capacità di prendersi cura di sé stesse e dei propri figli.

Gli effetti nefasti si ripercuotono anche sulla salute dei più piccoli: i bambini che assistono alla violenza all’interno dei nuclei familiari, infatti, possono soffrire di disturbi emotivi e del comportamento.

E secondo il rapporto “Valutazione globale e regionale della violenza contro le donne: diffusione e conseguenze sulla salute degli abusi sessuali da parte di un partner intimo o da sconosciuti”, pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in collaborazione con la London School of Hygiene & Tropical Medicine e la South African Medical Research Council, l’abuso fisico e sessuale è un problema sanitario che colpisce un terzo delle donne nel mondo.

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